Uno spettacolo di Michela Blasi
con Andrea Facciocchi
e Bruna Rossi
testo di Helmut Krausser
scene e costumi Extramondo
assistente alla regia Giuseppe Marzoli
voce fuori campo Alessandro Pardi
traduzione Umberto Gandini
delegata alla produzione Cesin Crippa
direzione tecnica Nando Frigerio
fonico Mizio Manzotti
luci Piera Fulvi
foto di scena Bruna Ginammi
brani musicali Wipers – Psychedelic Furs – John Coltrane Nico – Micus – Mahler
video tratti dai film “Non aprite quella porta” e “Blade Runner”
collaborazione tecnica Teatro delle Ali
produzione Teatridithalia
in collaborazione con Goethe Institut Mailand
Prima nazionale al Teatro Portaromana di Milano
22 febbraio 4 marzo 2001
Non sono un uomo. Non sono dio, la sola possibilità che mi rimane è far credere di essere uno di quelli degni di attenzione, un assassino, uno stupratore, un serial killer, anche se tutto questo non ha niente a che fare con me…
È diventato un cult il film horror di Tobe Hooper Non aprite quella porta (The Texas chjainsaw massacre). Qui Leatherface (Faccia di cuoio) è un ex-macellaio, psicopatico e un po’ ritardato, che fa a pezzi esseri umani con una motosega, mentre indossa una maschera da lui stesso cucita con la pelle delle sue vittime. Insieme alla sua famiglia profana tombe, vive in una casa degli orrori e pratica il cannibalismo. Leatherface è diventato “un’icona dei nostri tempi”, un mito, un oggetto di culto alla stregua di Freddy Krueger e di Hannibal Lecter. Il protagonista della nostra pièce, invece, è un uomo come tanti. Vive in un modesto monolocale di una grande città dove è difficile potersi affermare, mentre è facilissimo sentirsi soffocati dall’affollamento crescente e dalle condizioni sociali. Come tanti non si sente realizzato professionalmente: vorrebbe scrivere, invece non fa niente. La sua storia sentimentale è minacciata da incomprensioni, problemi materiali, confusione di ruoli e condizionamenti esterni.
Come gestire questo disagio fatto di poca comunicazione, pigrizia, digressioni filosofiche e molta ingenuità? Niente di meglio che sfogare rabbia e frustrazioni dando vita a uno strano gioco: imitare Leatherface, indossare la maschera di cuoio e impugnare la motosega come una bandiera da sventolare, fingere di essere lui.
Non per ammazzare qualcuno, ma solo per sentirsi diverso, in casa, senza che nessuno veda. Si tratta di prevenzione, di “legittima difesa”. Ma accidentalmente qualcuno “apre quella porta” ed entra in quel mondo segreto. È lei, la sua compagna, che si trova improvvisamente proiettata insieme a lui in una situazione imprevista, pericolosa ed eccitante, grazie a quel travestimento e al terzo protagonista della storia, un oggetto pericoloso e affascinante, un’arma micidiale: la motosega. Da questa nuova dimensione non si può tornare indietro Il rapporto con le cose e il mondo esterno è completamente ribaltato: essere finalmente considerati importanti! Essere degli eroi, riconoscere nel proprio compagno ciò che, un tempo, aveva fatto scattare l’amore. Ritrovare la passione, la complicità, essere insieme e felici a dispetto di tutto e di tutti. Ma il gioco dura poco.
Il giovane autore tedesco Helmut Krausser, rappresentato per la prima volta in Italia da Extramondo,
si ispira a un fatto realmente accaduto e brucia come un fiammifero la vita dei due giovani protagonisti
di questa commedia intrigante e paradossale, che sfocia in tragedia.
Una strana storia d’amore che prende vita solo a patto che ci sia, per scherzo o per davvero,
una dimensione eroica, anche solo per un giorno, anche a costo della vita.
Due mail su Faccia di cuoio, ovvero qualche appunto sulla corrispondenza anagrafica (e fisica) tra attore e personaggio, di Michela Blasi e Oliviero Ponte di Pino.
Ciao Oliviero,
Andrea mi ha riferito della vostra telefonata a proposito di “. Mi piacerebbe conoscere più nel dettaglio cosa ne pensi.
Per noi è stata un’esperienza molto positiva fino al momento di entrare al Portaromana. Siamo entrati in teatro tre giorni prima del debutto e da lì in poi la situazione d è sfuggita di mano per grossi problemi tecnici che non ti sto a dire, ma soprattutto ai miei occhi lo spettacolo ha cambiato sapore. La replica che hai visto tu era già molto più soddisfacente, giorno per giorno abbiamo rimesso mani a tutto.
Temiamo che il nostro lavoro in spazi così ampi sia penalizzato, a meno che non nasca lì, ma è un’ipotesi irrealizzabile.
Dobbiamo riflettere molto bene per scelte future. lo amo spazi dove il rapporto con il pubblico è più ravvicinato, dove tutto sia più gestibile, visto che non abbiamo una squadra di tecnici a disposizione.
Andrea mi ha riferito i tuoi dubbi rispetto all’età degli attori. È un dubbio che all’inizio ho avuto anch’io, ma rileggendo il testo mi è poi sembrato poco probabile che un ventenne possa fare ragionamenti sulla vita come quelli che fa “lui”, discorsi che presumono un’esperienza di vita molto profonda e a tanti livelli, una maturità. Anche i conflitti di coppia su problemi economici e altro sono tipici di persone non giovanissime.
Mi sembra interessante, invece, mettere in scena persone adulte che si giocano tutto in modo irrazionale, perché non sono ancora riusciti a dare valore e solidità alla propria esistenza, per assaporare un momento di gloria, consci dell’inutilità delle proprie convinzioni al cospetto degli altri.
In fondo è la condizione di tanti miei “nostri” coetanei, che non accettano certe regole, che sanno di avere una testa che funziona, ma che subiscono molte frustrazioni, che non hanno molto da perdere, che hanno voglia di brividi veri. Tanta pigrizia, ma anche tanta rabbia, poi a un certo punto, qualcosa esplode.
Tieni anche conto che i testi interessanti (e soprattutto rappresentabili per noi per i diritti) che ci passano fra le mani sono pochissimi: quando abbiamo letto questo non avevamo tante alternative… in ogni caso è stata una scelta convinta.
Comunque se hai qualcosa da suggerirci, volentieri, non aspettiamo altro!
Mi hanno detto che le mail devono essere brevi, questa non lo è. Chiudo qui. Grazie per interessarti sempre a Extramondo.
Michela
Cara Michela, cerco di riassumere.
Il testo mi è sembrato curioso e interessante, e mi sembra anche che il lavoro di regia che hai fatto fosse funzionale ed efficace e valorizzasse il testo.
Avevo invece delle perplessità perché mi sembra che due attori (o meglio due persone) come Andrea e Bruna Rossi abbiano un’età tale per cui in quei ruoli non sono naturalmente credibili, e dunque devono fare un gran lavoro (che svolgono con grande impegno) per “adolescentizzarsi” – ma lasciando sempre qualcosa d’irrisolto.
È un problema di realismo, o meglio di credibilità. Non sarò certo io a dire che Amleto dev’essere un pallido spilungone in calzamaglia nera, o Otello un negro. Ma i protagonisti di Faccia di cuoio sono con tutta evidenza due ragazzi inesperti della vita e pieni di slanci. Chi abbia vissuto un po’, o è completamente fuori di melone, oppure ha imparato (magari a sue spese) che su certe cose è meglio non scherzare. Di più: l’intera logica del testo mi sembra basata sul fatto di raccontare una storia apparentemente assurda e vagamente surreale, per poi dire alla fine: “Guardate, è successo davvero”. Insomma, l’effetto sorpresa e l’efficacia del testo (il pugno nello stomaco) dipendono proprio dalla credibilità del tutto.
Per calarsi nei panni dei due ragazzi, Andrea e Bruna devono invece fare una serie di deformazioni vagamente grottesche. La camminata tutta sghemba di Bruna, che hanno solo certe ragazzine che cercano di fare le timide è una bella soluzione registica e attorale, ma rischia di diventare una caricatura. Anche i “discorsi” dei ragazzi: se li fanno due adolescenti, a caldo, come dettati da circostanze che li portano a essere più saggi, è un conto; se li fanno due adulti per i quali rappresentano il distillato di decenni d’esperienza, è un altro.
Ecco questa è la mia perplessità, per certi analoga a quella che mi ha suscitato Arturo Cirillo che sceglie di fare La notte è madre del giorno interpretando un adolescente che dovrebbe avere la metà dei suoi anni (e che anche lui si sente costretto a fare “qualcosa di fisico” e bello – ma che in qualche modo porta la pièce su un terreno che non è il suo).
Dopo di che, sia Krassner sia Norèn hanno scritto testi in apparenza realistici (uno ispirato a un fatto di cronaca, l’altro alle proprie vicende familiari) che poi raccontano tutt’altro. Ma se questa forzatura del realismo è il dato di partenza, credo che poi l’impatto dei testi (di testi peraltro poco conosciuti in Italia) rischi di perdersi.
Un altro problema di cui abbiamo parlato con Andrea riguarda i suoi possibili ruoli. Per certi aspetti è un attore anomalo: ha una tecnica costruita con l’energia, ed è nato come “monologante”. Credo che non sia facile stargli accanto in scena, è necessario costruire un equilibrio e una fiducia reciproca, e in questo caso ci siete riusciti. Mi sembra la strada giusta.
Il problema, lo dici anche tu, è il repertorio, e non è di facile soluzione. Faccia di cuoio è certo un testo interessante – e non ce ne sono molti di quel livello.
Infine, il teatro di Porta Romana. Non credo sia un vero problema (al di là dei tempi di prova): quando ho visto lo spettacolo (all’ultima replica, è vero) mi sembrava ormai messo a punto, con una serie di soluzioni tecniche interessanti (e non semplicissime: il filmato, le luci, eccetera). Certo che nell’intimità di uno spazio più raccolto certe cose hanno maggior impatto – o un impatto diverso. Ma insomma, Faccia di cuoio sul palcoscenico regge più che bene.
Ciao.