di Giovanni Testori
con Andrea Facciocchi regia di Michela Blasi
produzione EXTRAMONDO – TEATRIDITHALIA
“Il grado di non totale disonore sta nell’intensità con cui ho pagato il libro in me stesso.
E anche nell’intensità dell’amore e della disperazione con cui ho accettato di farmi invadere da questa creatura, dal Riboldi Gino”.
Giovanni Testori
“In exitu” è la provocatoria confessione di un giovane tossicodipendente ridotto alla prostituzione, in un tempo che si concentra e si dilata intorno al momento cruciale dell’overdose. Invocata con ossessione è Milano, la “civis”, indifferente, maledetta e bestemmiata, con i suoi simboli “tutankamici” e “marmorei”, come Niguarda, o come la Stazione Centrale, colossale e gelido tempio pagano, che rispecchia nei suoi gradini le mille offese inflitte all’uomo dalla cultura postindustriale. In cima, come un altare sacrificale, la latrina in cui si consuma la tragedia.
Nel totale degrado del suo calvario Gino recupera dalla memoria la nostalgia degli anni della sua infanzia: Annone, il paese materno, con il suo lago; la malattia e la morte del padre; l’abbraccio della mamma, che silenziosa, umile, mai lo abbandona; la “signora maes”, giudice, fredda e moralista. Nel suo delirio i ricordi si annebbiano nell’ingenuità e nella bestemmia di chi non ha niente da perdere, tanto da confondere la prima comunione con l’atto orale della sua prima marchetta. Ma lui, Gino, carne martoriata, l’ultimo tra gli ultimi, dagli inferi milanesi, nella più cruda indifferenza, tra il Parco e la Stazione, giunge, attraverso il martirio, alla profezia.
Da agnello immolato e designato alla Croce, diventa il prescelto per la Rivelazione, testimone e protagonista del libro dei libri, l’Apocalisse. Nella notte fredda e vuota, da una panchina desolata del Parco, tra angeli che rombano su potenti motociclette, ecco la visione, la luce, il mistero che si svela proprio a lui, depositario della verità estrema e risucchiato da quel bagliore. In questa Passione contemporanea la parola si disfa, si frantuma in sillabe smozzicate, frasi tronche, grida e lamenti oscillanti tra latino, lombardo, francese: una parola martoriata come il corpo del protagonista. Gino Riboldi, con la sua parola folle e spezzettata, che va oltre il più esasperato sperimentalismo, nella sua feroce volontà di annullarsi, interroga direttamente e a ritmo serrato l’assoluto per avere risposte definitive, che spieghino il senso del dolore. Davanti a queste domande possiamo solo prendere o lasciare, e ci troviamo noi stessi sulla scena, con tutto ciò che non abbiamo il coraggio di confessare. La performance di Extramondo è un evento al di fuori delle regole della rappresentazione. Un rito crudo, estremo, senza orpelli, come voleva l’autore. La lunga e coerente meditazione sui temi tragici dell’esperienza umana, le scelte anticonformiste e radicali, la profonda religiosità espressa nelle forme più provocatorie e sconcertanti fanno di Giovanni Testori uno dei protagonisti più complessi e geniali del panorama intellettuale del secondo Novecento.
DAL CATALOGO DI “TEATRO 90 – PALERMO
In exitu: la voce e il magone
testo di Fulvio Panzeri, curatore dell’opera omnia di G. Testori
Ci può essere un atto estremo, una lingua che accoglie e definisce uno scrittore: per Giovanni Testori questo atto e questa lingua vanno ritrovati in In exitu, il romanzo pubblicato nel 1988 e diventato subito monologo teatrale. Ciò deriva dall’intensità con cui lo scrittore sente in sé la storia e il personaggio, il dramma in cui esso si consuma, tanto da farlo diventare proprio, una specie di identità e di comunanza con quella realtà dell’irreparabile” che Riboldi Gino, il protagonista di In exitu, rappresenta. Del resto i temi che Testori mette al centro della sua opera vengono riassunti nel complesso vortice linguistico di In exitu. Gli ingranaggi di una certa ideologia, “la sua palese incapacità di rispondere a tutto l’uomo, a tutta la vita; e, appunto, alla morte”; la necessità di verificare la “prova della verità”, la fatica di compromettersi sempre in prima persona, assumendo anche dolorosamente l’inevitabilità dell’incarnazione; il riferimento continuo allo scandalo cristiano, non intuito solo in termini di “chiesa”, ma soprattutto come avvenimento umano, reale, diventano i temi su cui, ossessivamente, Testori ritorna. In exitu li accoglie tutti nell’urlo disperato del Riboldi Gino contro la “civis”, contro l’indifferenza di una città, Milano, che nega continuamente la speranza e tende a razionalizzare tutto. C’è sempre in Testori la necessità di assumersi in toto, non solo il peso, ma anche la realtà concreta delle proprie parole, non solo di esprimerle come riflessione o come grido contro l’indifferenza, ma di incarnarle, facendo proprio questo dolore sordo, questa solitudine di una periferia e di una marginalità che diventa emblema della figura di Cristo.
Come è stato necessario per lo scrittore, assumersi totalmente, questo itinerario da “via crucis”, così lo è anche per chi lo interpreta. In exitu non può essere considerato uno spettacolo teatrale, ma è essenzialmente un “frammento” da “una sacra rappresentazione” esemplare che trova il proprio spazio e il proprio luogo in un momento preciso, attraverso la voce di un attore. Quel momento, poi, continua, incessante, nella realtà, in quel grido che esplode nell’aria. Proprio a questo rimane fedele Extramondo: Andrea Facciocchi, nel portare in scena Riboldi Gino, non lo recita, non ne fa un proprio personaggio, ma lo incarna totalmente, contro il fondo nero al quale va cercando di aggrapparsi quasi per reggere il peso di quella sua disperata necessità di riconoscimento. E lo incarna soprattutto con quella sua voce strettamente lombarda, così roca e potente nel dirsi, così vera nel modulare i toni di questa invettiva contro la “città-civis”. Andrea Facciocchi è anche una straordinaria “presenza fisica” che però nello spettacolo, c’è, ma è come se venisse cancellata: diventa puro movimento che segue l’andamento della voce e dei suoi toni, quel rifluire tra l’urlo e la preghiera, la richiesta di pietà e perdono e il bisogno di un’ultima tenerezza, riportata alla memoria dei luoghi materni, ad una memoria fatta di un campanile, della festa per la prima comunione, da un tempo che rimanda al “grembo”. Riemergono così le tracce di magone e Facciocchi le inclina verso una solida pietà, modulando i toni su quel sentimento di “magone” tanto lombardo e tanto testoriano, da diventare evocazione delle radici come ragione per la pietà e per la sua richiesta. Extramondo non ha scelto di “interpretare” il Riboldi Gino, ma di dargli la voce, al di là di qualsiasi espressionismo, ben sottolineato dalla regia di Michela Blasi e da quel nero, informe, in cui l’attore si muove, colpito solo da lampi di luce, quasi a sottolineare certi rimandi figurativi a Bacon che l’espressione corporea di Andrea Facciocchi molto spesso ricorda.