di Peter Asmussen
con Andrea Facciocchi
Laura Ferrari
Giovanni Palladino
Cristina Scagliotti
Eros Zoppellaro
regia Michela Blasi
traduzione Graziella Perin
assistente alla regia Alessandra Moscheri
direttore tecnico Antonio Rosanò
spazio scenico Andrei Ferrau
foto Alessandro Branca
produzione Extramondo/Outis/La fabbrica dell’Uomo
Nella tradizione nordica di porre l’essere umano sotto una lente di ingrandimento per cogliere anche le più sottili sfumature del “vivere”, Peter Asmussen proietta i personaggi di questa piece in una condizione limite, border line.
Li colloca in un “paesaggio” composto da elementi fortemente connotati e simbolici: il mare, come altra possibilità di vita – “sott’acqua i colori sono diversi”; e il cielo, che sta sopra il mare come segno immanente.
(”Ho visto il cielo. È grigio e blu scuro. … Il sole è arancione, bianco e viola”)
E poi c’è l’albergo – l’albergo deserto, c’è solo il portiere – luogo e simbolo di passaggio come nelle migliori road stories, dove tutto inizia e tutto può finire, dove per pochi giorni si ha l’impressione di appartenere ad un altro mondo.
Infine la spiaggia, spazio dove si approda ma anche trampolino o viatico per nuovi “viaggi”.
I quattro protagonisti, due coppie, si ritrovano anno dopo anno a trascorrere le vacanze in questo luogo poco frequentato, costretti a confrontarsi sull’assurdità e solitudine della loro vita, tentando di intrattenersi e di divertirsi. Anno dopo anno si perpetua una sorta di contaminazione, ma il confronto è difficile, complesso: malgrado loro stessi, il tempo cambia le cose. In quest’atmosfera di limbo quasi beckettiano, dove tutte le possibilità sono comprese, dove tutto deve essere ancora detto, nonostante i tentativi a volte goffi di riproporsi per quello che si è, i quattro vengono trascinati dalla corrente di un’entità più grande di loro: il tempo, il destino…
La possibilità di avere una consapevolezza e una coscienza passa attraverso i sensi, ma i sensi vengono meno e con essi la sensibilità. Benedikte forse riesce ad acquisire una “coscienza”, ma, come commenta Shakespeare, non è detto che ciò automaticamente ci salvi, anzi spesso ci conduce alla fine… Verner ne esce profondamente cambiato, ma quando non c’è più tempo per rimediare – Benedikte muore – e c’è molto di Thomas Bernhard in questo.
Jan ha il coraggio di confessare la sua fragilità (“…mi manca tanto la vicinanza di un altro essere umano. La tenerezza. Mi manca”); Sanne non vuole lasciare nulla dietro di sé e prende la vita per quello che è.
I sopravvissuti escono come da un’ubriacatura che sembra presagire un nuovo inizio, ma tutto sommato, si sceglie di “fregarsene un po’”.
“Non dovremmo fregarcene di quello di cui non abbiamo bisogno?”.
Lo spettacolo ci mostra le quattro vacanze anno per anno quasi come quattro stagioni della vita, con temperature, colori e volti che inesorabilmente cambiano.
Si passa dall’euforica leggerezza del primo anno, dove ci si conosce, ci si annusa, ci si schernisce, ci si maschera e …si ride molto; ai grovigli sentimentali ed emotivi del secondo anno, con gli inevitabili paradossi e incrinature; il terzo anno la vita propone un’esperienza dalla quale non si può scappare; il quarto anno… l’rreparabile.
L’essere umano sembra davvero fare fatica a cogliere i segnali che la vita gli manda, troppo occupato a difendere il suo “ruolo” nel mondo e così restio a qualsiasi forma di cambiamento o messa in gioco. E spesso quando se ne accorge è troppo tardi.
“La spiaggia” è una strana, intima e tenera commedia sulla profondità dell’amore e sullo scorrere del tempo.
A confronto con il paesaggio della spiaggia e del mare, solo apparentemente immutabile e incontaminato.
“La spiaggia” è stato presentato in forma di studio il 5 e 6 giugno 2007 a Milano (spazio Superstudio più) al Festival “La fabbrica dell’uomo – Identità e passioni” – coprodotto da Outis – Centro Nazionale Drammaturgia Contemporanea.
Peter Asmussen, noto in Italia soprattutto come sceneggiatore del film culto “Le onde del destino” di Lars von Trier, è uno dei più importanti autori europei contemporanei.
Costruttore di macchine teatrali complesse e seducenti, la sua drammaturgia è tanto incisiva e cruda quanto poetica e spiazzante: l’uomo è al centro delle sue riflessioni; il senso è più nelle parole che nelle storie; non ha paura di parlare di sentimenti. Extramondo ha avuto il piacere di conoscere personalmente Peter Asmussen avendo messo in scena due suoi testi, “Crimine” e “La spiaggia”.